Durante tutto il Cinquecento, la Calabria conosce un lungo periodo di espansione economica. La feudalità si piega alle strutture giuridiche e politiche della monarchia assoluta, la spinta demografica persiste, il popolo «quattrocentesco» comincia a differenziarsi in una pluralità di moderni ceti concorrenti, l’aristocrazia agraria e la borghesia maggiore sembrano predestinate all’alleanza e alla fusione. Sarebbe riuscita la regione. grazie a questa fase di grande espansione, ad emanciparsi dalla dipendenza dai mercati e dai mercanti forestieri, che ne condizionavano e ne limitavano le prospettive di sviluppo? La storia del Cinquecento calabrese è la storia (li questo interrogativo. La risposta è negativa. Già agli inizi del Seicento si manifesta la crisi: lo Stato accentua sempre più il suo aspetto fiscale ed oppressivo, la domanda estera, su cui si regge l’economia. diminuisce. i baroni armano e proteggono i banditi contro lo Stato e le sue pretese giuridiche. Ma il mancato raggiungimento della soglia di uno sviluppo autopropulsivo e autodiretto è una parabola che non riguarda soltanto la Calabria del Cinquecento. Riguarda, infatti, come nel Mezzogiorno d’Italia e altrove, l’eterna storia dell’ineguaglianza sul piano economico e internazionale. E riguarda anche, come in Calabria nel Cinquecento. la misura in cui a questa ineguaglianza si sommano scelte e indirizzi della vita interna del paese. Una storia, dunque, ricca di potenzialità e di svolgimenti, pur nello scioglimento finale negativo della questione intorno alla quale si articolò.
Si ringrazia l’autore per avere autorizzato la messa on line del testo.