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           per negare l’autoctonia degli etruschi e lamentare il carattere oligar-
           chico delle loro istituzioni, fondate sul sopruso e sulla servitù. Per Jan-
           nelli, pertanto, gli etruschi non avevano rappresentato un modello di
           civiltà, perché agli altri popoli della penisola avevano giusto insegnato
           pirateria e sopraffazioni e la loro uscita di scena a fronte dell’espan-
           sione romana doveva essere salutata come un autentico beneficio per
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           i progressi della civiltà .
              Qualora si ponga mente alla circostanza che tutta la storia munici-
           pale  partenopea  insisteva  sull’accordo  in  base  al  quale  Napoli  era
           entrata nell’orbita romana, quasi fosse un’alleanza in luogo di una con-
           quista, diviene facile comprendere quale fosse il fine ultimo di Jannelli:
           smontare la pretesa che gli etruschi fossero anticipatori dei greci e
           maestri ai romani, per restituire a questi ultimi, naturali alleati di
           Napoli, il merito politico dell’uniformazione della penisola. In tal modo,
           Jannelli poteva coniugare il primato civile di Roma a quello culturale
           delle popolazioni meridionali di origine greca e suggerire come da quel-
           l’incontro soltanto prendesse forma il modello civilizzatore dell’antichità
           italica. Insomma, grazie alla sua ricostruzione, il baricentro delle origini
           della civiltà italiana si spostava dall’Etruria alla Campania. Non a caso,
           proprio un suo allievo, Nicola Corcia, in quegli stessi anni si tenne a
           sua volta distante dalle teorie attorno all’indigenato delle popolazioni
           italiche per insistere invece, sulla traccia del maestro, nello studio dei
           pelasgi, il cui arrivo nella penisola egli riteneva fosse la più antica
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           migrazione di popoli della quale restassero testimonianze . Sugge-
           rendo come da quelli «i nostri più antichi popoli la lor prima civiltà rico-
           nobbero», Corcia aveva cura di individuare – partendo dalla capitale
           per spostarsi poi nelle province – una sicura traccia della loro presenza
           in tutto il Mezzogiorno e rivendicare pertanto un sicuro primato di ita-
           lianità a quelle contrade soltanto.





              15  «Etruscomanes inter maximas et deterrimas alamitates numerant occupationem
           a Romanis facta Etrusci imperii; nos contra contendimus tum beneficium humano generi
           factum, tum maius ipsis Etruscis. Nam secus si durasse severitate sua regimen aristo-
           craticum in Etruria non modo nullum civilitatis incrementum habere potuisset Etruria,
           quin ne paucissimae quidem inscriptiones ad nos pervenissent». Vedi Tentamen herme-
           neuticum in etruscas inscriptiones eiusque fundamenta proposita a Cataldo Jannellio, ex
           Regia Typographia, Neapoli, 1840, p. 25. Ma vedi anche, sempre in una chiave di forte
           critica dell’etruscheria con molteplici riferimenti all’opera di Micali del 1832, Tentamina
           hierographica atque etymologica; de hierographia et pantheo etruscorum; de vasis pictis;
           de panteopoeismo veterum; de lingua grammatodynamica etc. proposita a Cataldo Jan-
           nellio, apud Miranda, Neapoli, 1840.
              16  Utile a questo riguardo anche la recensione che Corcia avrebbe fatto dei sopra
           citati lavori di Jannelli in «Il Progresso delle scienze, lettere ed arti», 10 (1841), vol. 28,
           pp. 280-90.



           Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIV - Dicembre 2017    n.41
           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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