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           stesso comportato una rilettura dell’eredità ellenica, restringendone il
           significato al Mezzogiorno soltanto.
              Un brillante esempio di questa crisi del modello greco vien dalle
           diatribe erudite che animarono Ancora nei primi decenni dell’Otto-
           cento: da un lato vi era chi, come il canonico Gaetano Baluffi, futuro
           vescovo di Imola, sosteneva, sulla traccia della tradizione antiquaria
           del secolo precedente, che il porto sull’Adriatico fosse stato fondato
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           da popolazioni sicule, che eran tuttavia di ascendenza greca . Le sue
           tesi vennero però presto contestate da Agostino Peruzzi, un altro reli-
           gioso dalla vita tormentata, perché si era spretato in occasione del
           Triennio  repubblicano,  per  poi  tornare  all’abito  talare  negli  anni
           napoleonici, ma sempre mantenere un pronunciato sentimento nazio-
           nale. In un testo del 1826, che si voleva di risposta a quello di Baluffi,
           egli faceva riferimento proprio a Micali per smontare le tesi dell’altro,
           secondo cui «l’Italia ebbe tutto dai Greci; l’Italia fu nulla senza di
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           loro» . Di lì a qualche anno, redigendo una storia di Ancona dall’an-
           tichità al XVI secolo, Peruzzi avrebbe esplicitato le proprie posizioni
           chiamando Micali a sostegno delle proprie tesi favorevoli a una origine
           italica della città: l’occasione gli veniva utile per un pubblico elogio
           dello scrittore livornese, «un uomo, qual egli è, non di solo nome, ma
           di cuore veramente italiano, che io sommamente stimo» e per ricor-
           dare che egli aveva avviato la serie di «que’ dotti che l’italico acciaio
           originario ter[ges]sero dalla ruggine, onde avealo bruttato la greca
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           vanagloriosa ciurmeria» .
              Questa prospettiva, che suggeriva nella lettura dell’opera di Micali
           la presa di distanze dalle origini greche, reputate un indice di dubbia
           nazionalità, non escludeva tuttavia che la medesima opera potesse ser-
           vire alla bisogna opposta e cioè valesse a rilanciare tentativi di nazio-
           nalizzazione limitati a un’area d’Italia soltanto. Questo è il caso in
           particolar modo delle Due Sicilie, che con alcuni studiosi napoletani
           proprio sulle ascendenze greche tenne invece fermo per fondare una
           nazione meridionale. Anche in questo caso non era argomento nuovo,
           perché una buona parte della storia locale di età moderna, in partico-
           lare riferita a centri commerciali dalla forte tradizione marinara, aveva
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           insistito sul punto , anche se non era mancata altra linea, riferita a



              8  G. Baluffi, Dei siculi e della fondazione d’Ancona, Tip. Baluffi, Ancona, 1821, p. 50.
              9  A. Peruzzi, De’ siculi italici fondatori di Ancona, dai torchi di Gaetano Bresciani,
           Ferrara, 1826, p. 80.
              10  Id., Storia d’Ancona dalla sua fondazione all’anno MDXXXII, Tipografia Nobili,
           Pesaro, 1835, vol. II, pp. 257 e 162.
              11  Riassume questo processo in dense pagine G. Galasso, La Magna Grecia: mito e
           realtà nella tradizione culturale del Mezzogiorno d’Italia, in Un secolo di ricerche in Magna
           Grecia, Istituto per  e l’Archeologia della Magna Grecia, Taranto, 1989, pp. 11-29.



           Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIV - Dicembre 2017    n.41
           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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