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Un napoletano nella Rivoluzione francese: appunti per una biografia di Luigi Pio   157


                    neanche  un  sorprendente  intervento  a  favore  di  Luigi  Pio  di  Maria
                    Amalia duchessa d’Orléans, la figlia di Ferdinando IV e nipote di Maria
                    Antonietta . Nel 1790, d’altra parte, era stato il marchese Circello a
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                    fare  radiare  Pio  dagli  annuari  della  Corte  napoletana,  protestando
                    inoltre presso Lafayette per la concessione della cittadinanza francese
                    all’ex segretario di legazione.
                       Dovremmo leggere queste vicende del 1816 come specchio dell’umi-
                    liante condizione dell’espatriato? Un uomo ormai quasi solo che so-
                    pravvive al tempo della rivoluzione e alla maggior parte delle persone
                    che lo hanno condiviso, tanto da rimanere «le Doyen de vos amis étran-
                    gers», come scriveva a Jefferson nel 1819? Tirando le somme, Pio sem-
                    bra più un uomo che fa appello a tutte le proprie risorse fino alla fine:
                    da una parte, l’immagine di sé, l’orgoglio di quello che sente come sa-
                    crificio  per  le  proprie  convinzioni;  dall’altra  tutte  le  relazioni  che  si
                    sono viste, da Fayolle e Prudhomme a Jefferson, Gallatin e Lafayette.
                    Le più interessanti tra le sue conoscenze personali hanno radici in
                    quegli anni Ottanta in cui Pio aveva abbracciato le idee di fondo che –
                    pur con cadute, colpe, errori e ingenuità – ispirarono il resto della sua
                    vita e che alla fine gli facevano ancora affermare di sentirsi degno di
                    chiamarsi uomo.
                       Si può dire che lo studio della biografia di Luigi Pio offra un caso
                    rappresentativo? La sua storia di espatriato politico getta luce su
                    alcune componenti della cultura rivoluzionaria europea che talvolta
                    sono state sottovalutate. Primo fra tutti, il versante del cosmopoli-
                    tismo vissuto e interiorizzato di fatto da una varietà di individui. È
                    un filone rivoluzionario che sembra storicamente perdente di fronte
                    ai nazionalismi, finché non ricompare, nei momenti in cui l’euforia
                    politica è al minimo, a costituire una dimensione – anche umana –
                    del possibile, che dà speranza a individui e movimenti. Quel cosmo-
                    politismo può essere definito come un insieme non tanto di idee,
                    quanto di pratiche: queste davano luogo a reti di relazioni in parte
                    ancora  da  scoprire,  ma  i  cui  nodi  erano  spesso  rappresentati  da
                    esuli ed espatriati. Secondo alcuni, il laicismo, che abbiamo visto
                    condiviso come un implicito collante da rivoluzionari pur diversi tra
                    loro, da Cloots a Etta Palm, da Pio a Jefferson, fu uno dei principali
                    fattori che prolungarono l’influenza del cosmopolitismo dell’epoca
                    dei Lumi non solo dopo il 1789, ma anche dopo l’Impero e la Re-
                    staurazione.  Questi percorsi meno evidenti della cultura rivolu-
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                    zionaria,  così  legati  all’identità  plurale  di  uomini  e  donne  che  a
                    quell’epoca  furono  «cittadini  del  mondo»,  rischiano  di  essere


                       81  Louis Pio to Thomas Jefferson, 29 August 1816 cit.
                       82  Si veda M. Scrivener, The Cosmopolitan Ideal in the Age of Revolution and Reaction,
                    1776-1832, Routledge, London, 2016.


                                                  Mediterranea - ricerche storiche - Anno XX - Aprile 2023
                                                           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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