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                   E perciò non conviene ipotecare il futuro. Limitiamoci, quindi, ad affermare
                che il porto di Napoli dovrà rassegnarsi ad avere un retroterra ad economia
                prevalentemente agricolo, qualora non intervengano altri fattori a mutare la si-
                tuazione presente 100 .

                   Queste parole, dette nello stesso anno dell’impresa etiopica e della
                proclamazione di Napoli a ‘Porto dell’Impero’, testimoniano il divario
                ormai profondo nell’approccio al problema portuale napoletano tra re-
                gime e Iri. Questa distanza di vedute non è di poco conto considerando
                che dal 1933 l’Iri controllava sostanzialmente il 90% della navigazione
                italiana 101  e nella provincia di Napoli era arrivata a controllare tutta
                l’industria  siderurgica,  meccanica  e  navalmeccanica  realizzando  di
                fatto un primo coordinamento per settori omogenei 102 .
                   Dal punto di vista dell’Iri il potenziamento del polo marittimo napo-
                letano si inscriveva in un più generale processo di razionalizzazione di
                interi settori produttivi passati in convalescenza nelle mani pubbliche.
                L’impegno dei tecnici Iri era guidato dalla volontà di dare una funzione
                conforme alle potenzialità di ogni settore componente l’economia del
                mare  del  golfo  di  Napoli  e  valorizzare  le  vocazioni  imprenditoriali  e
                commerciali dell’area. Appare perciò palpabile lo scarto tra i sogni di
                grandezza  delle  gerarchie  fasciste  negli  anni  Trenta  e  i  programmi
                dell’Iri 103 .
                   Da un lato, l’idea del regime – almeno sulla carta 104  – di impostare
                uno sviluppo commerciale e industriale dell’area del golfo in funzione
                degli  auspicati  effetti  moltiplicativi  generati  dal  concentramento  nel
                porto del traffico con l’impero, dall’altro, l’Iri che puntò su un efficien-
                tamento della dotazione infrastrutturale e della base produttiva in fun-
                zione principalmente dei margini di sviluppo del retroterra portuale.
                Una differenza di vedute che emerge molto chiaramente dalle dichia-
                razioni di Cenzato sul valore dell’impero:




                   100  F. Milone, Il problema del porto di Napoli, «Questioni Meridionali», vol. III, fasc. 1,
                1936, pp. 3-57, qui p. 51 (il corsivo è mio).
                   101  L. D’Antone, Da ente transitorio a ente permanente in V. Castronovo (a cura di),
                Storia dell’Iri. Dalle origini al dopoguerra, Laterza, Roma-Bari, 2012, p. 198.
                   102  A. De Benedetti, La via dell’industria, cit., pp. 34-35.
                   103  La differenza di vedute strategiche riguardo le potenzialità dell’area napoletana
                deve essere inquadrata nel più ampio e non semplice rapporto tra gli obiettivi della po-
                litica di bandiera e quelli della politica di bilancio incarnate rispettivamente dal fascismo
                e dall’Iri. Cfr. G. Mellinato, The origins of Finmare. A technocratic reform beyond state
                and market in fascist Italy in C. Agriantoni, M.C. Chatziioannou, L. Papastefanaki (eds),
                Markets and Politics Private Interests and Public Authority (18th – 20th centuries), Uni-
                versity of Thessaly Editors, Volos, 2016.
                   104  Aa.Vv., L’economia di Napoli sul piano dell’impero, Edizione Politica Nuova, Napoli
                1938.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XX - Aprile 2023
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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